mercoledì 11 gennaio 2023

Corso filosofi: Lezione 12 Kirkegaard Marx Nietzsche Bergson

 Soren Kirkegaard 1813


Karl Marx 1818

Karl Marx (1818-1883) è stato un filosofo, economista e politico tedesco, noto soprattutto come il fondatore del marxismo. Le sue opere hanno avuto un impatto profondo e duraturo sulla teoria politica, economica e sociale, e il suo pensiero ha influenzato significativamente il corso della storia mondiale. Ecco alcune delle principali idee e contribuzioni di Karl Marx:

Materialismo storico: Marx è noto per aver sviluppato il concetto di "materialismo storico", un approccio alla comprensione della storia umana in cui gli sviluppi sociali e politici sono visti come il risultato di forze economiche e materiali. Marx sosteneva che la lotta di classe fosse il motore della storia e che la struttura economica di una società fosse determinante per la sua organizzazione politica e sociale.

Lotta di classe: Una delle idee centrali di Marx è la concezione della lotta di classe, in cui la società è divisa in classi sociali con interessi conflittuali. Ha identificato la borghesia (i capitalisti) e il proletariato (i lavoratori) come le due principali classi in lotta nel capitalismo. La sua teoria prevedeva che questa lotta di classe avrebbe portato alla rivoluzione proletaria.

Comunismo: Marx è famoso per aver scritto, insieme a Friedrich Engels, il "Manifesto del Partito Comunista" nel 1848. Nel manifesto, Marx ha esposto il suo obiettivo di eliminare la proprietà privata dei mezzi di produzione e stabilire una società senza classi basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione, nota come "comunismo".

Critica del capitalismo: Marx ha analizzato criticamente il sistema capitalista, sostenendo che fosse intrinsecamente ingiusto e basato sull'oppressione della classe lavoratrice. Ha esaminato i concetti di alienazione e sfruttamento nel contesto del capitalismo, sottolineando come i lavoratori fossero alienati dal prodotto del loro lavoro e sfruttati attraverso la produzione di plusvalore per i capitalisti.

Teoria del valore del lavoro: Marx ha sviluppato una teoria del valore basata sul lavoro, sostenendo che il valore di un bene o di un servizio fosse determinato dalla quantità di lavoro necessaria per produrlo. Questo concetto è in contrasto con la teoria del valore del libero mercato sostenuta da economisti come Adam Smith.

Critica dell'ideologia: Marx ha sviluppato la teoria dell'ideologia, sostenendo che le idee e le credenze di una società riflettessero spesso gli interessi delle classi dominanti. Ha introdotto il concetto di "falsa coscienza", che rappresenta la mancanza di consapevolezza da parte dei lavoratori dei loro veri interessi a causa dell'ideologia dominante.

Rivoluzione proletaria: Marx ha previsto che la lotta di classe avrebbe portato alla rottura del sistema capitalista e alla creazione di una società comunista attraverso una rivoluzione proletaria. La sua visione era che il proletariato avrebbe preso il controllo dei mezzi di produzione e istituito una società senza classi.

Friedrich Wilhelm Nietzsche 1844

https://youtu.be/q5N5LBCjFTg

Friedrich Wilhelm Nietzsche filosofo (Röcken, presso Lützen, 1844 - Weimar 1900). Nella sua opera convivono una violenta critica distruttiva verso il passato (la tradizione filosofica, morale e religiosa dell'Occidente da Socrate in poi) e un appassionato appello al futuro, alla creazione di un uomo nuovo capace di affrontare la tragicità della vita senza bisogno di certezze filosofiche o religiose. Le sue idee antidemocratiche e l'esaltazione della volontà di potenza ne favorirono la strumentalizzazione da parte del nazismo.

Studiò filosofia classica a Bonn e Lipsia e a questo periodo risale il suo entusiasmo per il pensiero di Schopenhauer e per la musica di Wagner, con cui strinse anche un'amicizia destinata però presto a sfaldarsi per gravi divergenze di pensiero. Professore di filologia classica a Basilea nel 1869, N. nel 1872 pubblicò una delle sue opere più chiare ed efficaci: Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik, a cui si affiancarono gli studî sui presocratici, e soprattutto l'importante saggio inedito del 1873: Über die Philosophie im tragischen Zeitalter der Griechen. Seguirono le quattro Unzeitgemässe Betrachtungen del 1873-76, dedicate rispettivamente a D. F. Strauss e il problema religioso, al problema dell'utilità o del danno della storia per la vita, a Schopenhauer, a Wagner. Le sue condizioni di salute andavano però sempre peggiorando e si facevano sempre più frequenti i disturbi psichici (dovuti forse a una paralisi progressiva) che dovevano portarlo più tardi alla pazzia.

Nel 1879 N. lasciava definitivamente l'insegnamento, soggiornando poi a lungo in Italia e in Engadina. Questo periodo, segnato dalla rottura con Wagner e dalla pubblicazione di Menschliches Allzumenschliches (1878), Morgenröte (1881) e, soprattutto, Die fröhliche Wissenschaft (1882), rappresenta la fase "critica", o, come a volte si è detto, "illuministica" di N., tutto impegnato in una critica serrata dei valori tradizionali e nello studio "genealogico" della cultura e della morale della civiltà europea. Frattanto si aveva la svolta verso l'ultimo periodo, nel quale dominano i temi del superuomo, dell'eterno ritorno dell'identico e della volontà di potenza, svolta che, secondo il racconto di N. stesso, si colloca nell'agosto del 1881. L'affermarsi di nuovi temi comporta anche un mutamento stilistico rilevante, soprattutto in Also sprach Zarathustra (1883-85), caratterizzato da un tono a un tempo profetico ed enigmatico; insieme si fa sempre più forte l'annuncio del destino nichilistico della civiltà europea. Seguirono Jenseits von Gut und Böse (1886), Genealogie der Moral (1887), Der Fall Wagner (1888), Götzendämmerung (1889) e Nietzsche contra Wagner (1889). Di quest'ultimo periodo dell'attività di N. sono anche Antichrist e Ecce homo. Nel gennaio del 1889 le condizioni di N. si aggravarono decisamente, fino alla crisi di follia, sopraggiunta a Torino, dalla quale N. non si riprese più. Trascorse gli ultimi anni della sua vita affidato alle cure della sorella a Naumburg e della madre a Weimar. Rimase perciò incompiuta l'opera a cui N. intendeva affidare la formulazione ultima del suo pensiero e che comparve poi nel 1906 a cura della sorella e di P. Gast con il titolo Der Wille zur Macht; si trattava però di un'edizione condotta con criterî tutt'altro che rigorosi e a volte anche deformati, per cui l'opera destò molte perplessità e polemiche: solo più tardi si è giunti ad averne un'edizione critica.

Nello studio dell'origine della tragedia, riprendendo motivi già presenti nel pensiero di Schopenhauer, N. porta a fondo l'attacco contro l'idealizzazione della Grecia "classica" che aveva avuto una funzione determinante nella formazione del romanticismo e dell'idealismo tedesco, e rovescia la valutazione corrente dell'arte e del pensiero greco: il suo periodo più importante non fu quello della maggior fioritura, ma quello degli inizî informi e grandiosi, testimoniato dal pensiero presocratico (un pensiero di filosofi che facevano corpo con la vita del loro popolo come i santi nel cristianesimo) e dalla tragedia di Eschilo e di Sofocle. L'interesse di N. per questo momento originario della civiltà greca e il radicale rovesciamento nella valutazione del suo corso non rispondevano però a criterî puramente filologici o eruditi, bensì all'esigenza di decifrare il senso dello sviluppo storico della cultura europea e della sua decadenza, polemizzando contro ogni illusione ottimistica o progressistica a carattere religioso o politico.

La storia dell'origine della tragedia e del passaggio dalla filosofia presocratica a quella socratica e platonica è infatti la storia dell'inizio della decadenza che ha in Euripide e in Socrate i suoi responsabili e i testimoni più significativi. Al senso doloroso e pessimistico della vita, simbolizzato da Dioniso, viene forzatamente sovrapposta una concezione fredda e rigida, simbolizzata da Apollo, della realtà. Nasce così quella contrapposizione tra mondo vero e mondo reale che, attraverso Platone e il cristianesimo, condizionerà lo sviluppo dell'intera civiltà europea imprimendole un carattere fatalmente nichilistico; e soprattutto nasce l'illusione decadentistica di curare i mali dell'uomo con la ragione e con la dialettica, ossia "dicendo di no" alla vita invece di esplicarne le più profonde potenzialità. Come forma ultima e più esasperata del dire di no alla vita deve essere considerata la "malattia storica" dominante nel secolo 19°, caratterizzato da un modo di vivere e di sentire da "epigoni".

Nella civiltà contemporanea prevale infatti, secondo N., la memoria e l'ossequio per il fatto compiuto come criterio di verità, mentre la vita può continuare e rinnovarsi soltanto in virtù dell'oblio. L'insistenza sulla memoria, sul legame con la storia che ci precede e condiziona, toglie, secondo N., ogni stimolo a un atteggiamento critico e attivo e porta gli uomini a vivere in un mondo irreale, un mondo di ombre come se non vi fosse più nessun'altra possibilità fuori di quelle offerte dalla "storia universale". In realtà, invece, la storia universale, intesa come concatenazione unitaria e rigorosa di eventi, non esiste, mentre esistono e hanno senso solo le emergenze individuali, le punte qualitative rappresentate dai grandi artisti e dalle grandi opere d'arte; non a caso per N. l'epoca più grande e più importante della storia moderna è il Rinascimento. La critica globale della civiltà europea come decadenza assume poi in N. aspetti sempre più radicali quanto più viene collegata alla critica del concetto di verità, intesa come qualcosa di completamente diverso da una conoscenza puramente oggettiva, e connessa sempre a bisogni vitali, a esigenze selettive. La verità infatti è una sorta di menzogna biologica necessaria, sulla quale non è possibile né lecito fondare nessuna dottrina metafisica o morale definitiva, assoluta o comunque oggettiva. Di qui una critica estremamente aspra e tagliente che scopre il carattere mistificatorio di tutti i valori che si sono presentati nella storia del pensiero e della civiltà. N. propone, cioè, una forma di pensiero radicale, capace di mettere in luce come i cosiddetti valori in realtà nascondano sempre qualcosa di diverso e di opposto a quanto professano e perciò debbano essere rovesciati. Proprio questo atteggiamento di assoluta ricerca della sincerità porta N. a un confronto diretto con il cristianesimo, che sfocia nella ben nota tesi della "morte di Dio". Il cristianesimo infatti ha diffuso nel mondo un principio etico (l'esigenza di verità, di veridicità, di sincerità) che da ultimo gli si è rivoltato contro e che porta a scoprire come il cristianesimo quale è stato impostato e diffuso non tanto da Cristo (paragonato da N. a Buddha e considerato come un ingenuo profeta dell'amore e dell'innocenza), quanto da s. Paolo, sia frutto di un atteggiamento giudicatorio nei confronti della vita, di risentimento e di contrapposizione di un "mondo che sta dietro il mondo" alla realtà di questo mondo in cui viviamo; tutte le virtù predicate dal cristianesimo sono pseudo-virtù e hanno portato a un rifiuto sempre più radicale della vita.

Peraltro, nel mondo moderno il Dio cristiano è "morto", poiché non riesce più a stimolare la capacità inventiva degli uomini, a guidarne la vita e a provocare la scoperta di nuovi valori, ma si pone come ostacolo a ogni forma di rinnovamento. La nozione nietzschiana di morte di Dio appare quindi molto diversa da ogni forma di ateismo tradizionale o comunque fondato su pure argomentazioni astratte, condotte in linea di principio; è piuttosto la conclusione di una valutazione storico-culturale complessiva che si esprime nella diagnosi nichilistica dell'intero decorso della civiltà greco-ebraico-cristiana. N. respinge infatti la tesi secondo cui il cristianesimo ha vinto sul paganesimo e sull'ellenismo perché rappresentava un rinnovamento ad opera di forze nuove e fresche rispetto a una civiltà decadente e consunta. Al contrario, il cristianesimo ha trovato via libera perché non ha fatto che divulgare e diffondere il nichilismo proprio della cultura e della filosofia greca postsocratica portandolo alle estreme conseguenze. Così è accaduto che a poco a poco il mondo "vero" sia diventato una favola, e cioè è venuta sempre meglio alla luce l'inconsistenza della concezione tradizionale della verità.

Se questo è l'aspetto negativo del nichilismo, ve n'è però uno positivo, nel senso che il nichilismo non è solo la testimonianza di una crisi, ma anche la coscienza del fatto che la crisi è diventata insostenibile e deve essere superata. Questo è precisamente il senso della predicazione di Zarathustra, che si presenta come "una corda tesa tra l'uomo e il superuomo", e cioè come l'annuncio del superamento dell'"ultimo" uomo, ossia dell'uomo della civiltà epigonica e nichilistica. Non ha senso infatti tentare un illusorio ritorno alla natura giacché l'intera struttura dell'uomo, compresa la sua vita animale e istintiva, è ormai profondamente deformata e distorta da millennî di civiltà; occorre piuttosto inventare una via d'uscita che non può essere mediata né dalla ragione (falsità biologica necessaria) né dalla storia (malattia epigonica) ma deve avere piuttosto i caratteri di una "mutazione", di un nuovo salto dell'uomo verso un livello più alto, analogo a quello che l'ha portato dal livello animale a quello attuale. Non basterà pertanto sostituire alle vecchie tavole di valori nuove tavole, ma si dovrà anzitutto distruggere radicalmente la nozione di uomo affermatasi nell'età moderna come se esistesse una pura soggettività; perciò è importante riscoprire il senso della corporeità, non come entità biologica soltanto, ma come insieme di potenzialità ancora inesplorate di un "sé" assai più ricco e complesso dell'"io" della filosofia cartesiana. In questo quadro polemico e programmatico insieme va pure inteso uno dei concetti più complessi e anche più fraintesi del pensiero di N., quello di "volontà di potenza".

La volontà di potenza non è infatti una semplicistica affermazione di sé a dispetto degli altri o un'esaltazione della forza e della sopraffazione, ma piuttosto la fiducia nella possibilità d'inventare radicalmente nuovi valori, dipendenti unicamente dall'iniziativa e dalla fantasia dell'uomo. Il concetto di volontà di potenza va quindi considerato in stretta connessione con la dottrina dell'"eterno ritorno dell'identico", la quale a sua volta non indica affatto un ordine fisico o metafisico di cui occorre semplicemente prendere atto; questa sarebbe ancora una prospettiva razionalistica e nichilistica, giacché implicherebbe che la realtà sottostà a uno schema analogo a quello voluto e cercato dalla razionalità umana. Al contrario, la realtà in sé non ha nessun senso e nessun ordine e comincia ad averlo soltanto nella misura in cui l'uomo glielo conferisce dicendo di sì alla vita e volendo l'eterno ritorno dell'identico. È questo il celebre e complesso tema del volere a ritroso, ossia del radicale rovesciamento di ogni concezione fisica, metafisica o escatologica del tempo come successione lineare di attimi che vanno irreversibilmente dal passato al futuro. Come dice una celebre immagine di Also sprach Zarathustra, il tempo invece si diparte sempre dall'attimo secondo due linee opposte (passato e futuro) destinate a incontrarsi nell'eternità, e cioè il tempo non ha nessun principio e nessuna fine assoluti. La critica nietzschiana intacca quindi le radici più profonde delle metafisiche e delle religioni dominanti nella civiltà europea, che pure rimangono nel quadro di una concezione unitaria antropologica e antropocentrica della realtà.

Henri-Louis Bergson 1859

https://youtu.be/zbv1SUjLN-Q

Henri-Louis Bergson filosofo francese (Parigi 1859 - ivi 1941).

Uscito dall’École Normale nel 1881, con una formazione essenzialmente positivistica, divenne nello

stesso anno agrégé de philosophie. Nel 1889, con la tesi Essai sur les données immédiates de la

conscience (trad. it. Saggio sui dati immediati della coscienza) e la dissertazione Quid Aristoteles de

loco senserit, conseguì il dottorato nella Sorbona. Nel 1900 iniziò a insegnare al Collège de France e

dal ’10 al ’24 occupò la cattedra di filosofia moderna, tenendo corsi frequentatissimi sulla libertà,

l’idea di tempo, Plotino, Berkeley, Spencer, ecc. La Sorbona gli chiuse invece le porte, per l’ostilità

degli ambienti accademici più tradizionali. Membro dell’Académie Française, nel 1927 gli fu conferito

il premio Nobel per la letteratura. Nel primo dopoguerra, rappresentò la Francia nell’assemblea della

Società delle Nazioni, nella sezione per la cooperazione intellettuale. Condusse una vita appartata e

dedita allo studio. Nel suo testamento lasciò scritto che, benché l’evoluzione del suo pensiero lo avesse

portato al cattolicesimo, egli, ebreo, non aveva voluto battezzarsi per non abbandonare i suoi

correligionari, perseguitati dai regimi totalitari dei quali fu tenace oppositore.

Tre opere, l’Essai, già citato, Matière et mémoire (1896; trad. it. Materia e memoria. Saggio sulla

relazione tra il corpo e lo spirito), L’évolution créatrice (1907; trad. it. L’evoluzione creatrice), segnano

lo sviluppo della filosofia di Bergson. Nella prima è definito il concetto, centrale nel pensiero del

filosofo, del tempo vissuto, o durata, attraverso una verifica interna. Se noi astraiamo dallo spazio,

dai concetti dell’intelletto e dal linguaggio, strumento di rapporti di ordine sociale, immergendoci nel

più profondo di noi stessi, veniamo a contatto immediato con una realtà che è assolutamente qualitativa,

mobile e indivisa. Essa è costituita da stati di coscienza che si fondono in maniera da produrre una

continuità vivente, un amalgama in continua evoluzione, un flusso sempre nuovo e originale, ma la

cui eterogeneità è tale che ogni suo momento, ricco com’è del passato e già contenente il futuro,

rispecchia a suo modo il tutto. Questa è la durata, che non è riconducibile alle categorie dell’unità e

della molteplicità, e quindi nemmeno allo spazio, al numero, alla misura. Lo spazio è omogeneità

quantitativa, la durata eterogeneità qualitativa; il primo può essere scomposto e ricomposto secondo leggi,

l’altra ha un ritmo proprio, semplice, individuale e imprevedibile. A partire da questa realtà, che

costituisce la vera spiritualità dell’uomo, B. sviluppa una critica del tempo fisico-matematico.

Questo comprende soltanto una serie di simultaneità o una successione di istanti perfettamente uguali e del tutto staccati l’uno dall’altro, e si lascia sfuggire la specificità della durata, che è invece flusso. La fisica proietta all’esterno questo movimento interiore e lo ‘spazializza’, rappresentandolo, per es. secondo lo schema dei quadranti dell’orologio che dividono il fluire del tempo in momenti successivi staccati tra loro. Ma questa è solo un’astrazione. La scienza fisico-matematica nasce da esigenze di carattere economico, per ordinare e classificare gli oggetti dell’esperienza interna o esterna. È invece la memoria a caratterizzare la vita della coscienza, raccogliendo il passato e custodendolo nella profondità della psiche.

Nell’Évolution créatrice, B. riprende il motivo della durata, e la eleva a principio metafisico:

l’evoluzione è spiegata nei termini di un principio semplice, lo «slancio vitale» (élan vital, «azione

che di continuo si crea e si arricchisce»), ossia una forza creatrice universale, evolutiva e originale.

In tal modo B. può superare sia l’evoluzionismo deterministico di Spencer sia quello finalistico,

entrambi respinti in quanto negatori della spontaneità e della ricchezza del processo reale: l’uno e l’altro,

infatti, si risolvono nell’affermazione tutto è dato, mentre «Dio non ha niente di fatto: egli è vita

incessante, azione, libertà». Così una corrente di vita, dotata di una forza esplosiva intellettualmente

non definibile, ha attraversato l’Universo, dando origine a innumerevoli correnti e tentativi. La vita

naturale cresce, si sviluppa, «esplode» in varie direzioni, dando luogo alle distinzioni tra pianta e animale,

istinto e intelligenza; quest’ultima porta l’uomo alla coscienza e alla costruzione di concetti, alle categorie

e agli strumenti operativi della scienza: forme vuote sempre più astratte che conducono a frantumare la

durata reale e a imporre etichette e simboli statici a una realtà in perenne movimento. La scienza

intellettualistica, con le sue categorie convenzionali subordinate alle necessità pratiche della vita, si rivela

incapace di cogliere l’essenza più autentica della vita organica e dello spirito. Occorre, per questo, usare

uno strumento superiore all’intelligenza e sfruttare le capacità simpatetiche dell’istinto, che, allargato a

intuizione, diventerà capace d’installarsi dentro l’oggetto. L’intuizione, organo di una reale conoscenza

partecipativa della realtà, è infatti «quella simpatia mediante la quale ci si inserisce nell’interiorità di un

oggetto per coincidere con ciò che c’è in esso di unico». B. elabora così una metafisica evolutiva di

stampo spiritualistico, capace si spiegare lo sviluppo della realtà come libera creatività, che, proprio

perché tale, non può essere ridotta entro le schematizzazioni della scienza tradizionale.

In Les deux sources de la morale et de la religion (1932; trad. it. Le due fonti della morale e della

religione) le tesi fondamentali di B. vengono estese al campo morale e religioso.

La natura ha spinto l’uomo verso l’evoluzione sociale, ma con uno sviluppo non predeterminato,

come per gli animali, bensì contrassegnato da scelte libere. Nella società antica, chiusa, statica

e conformistica, la religione (che pure con i miti aveva originariamente posto un argine alle forze

centrifughe dell’individualismo) ha la funzione di conservazione dell’organismo sociale; a questa

vecchia forma sociale è contrapposta da B. la possibilità di una società aperta e dinamica, nata dalla

rivoluzione spirituale del cristianesimo e arricchita dagli sviluppi della scienza e dell’industrialismo.

La speranza è che, con un nuovo salto evolutivo, in essa potrà svilupparsi una religione eminentemente

attiva, un nuovo misticismo capace di raffrenare le forze negative scatenate dalla stessa intelligenza

dell’uomo. Altre opere: Le rire (1900; trad. it. Il riso. Saggio sul significato del comico),

Introduction à la métaphysique (1903; trad. it. Introduzione alla metafisica), L’énergie spirituelle

(1919; trad. it. L’energia spirituale e la realtà), La pensée et le mouvant (1934; trad. it. Il pensiero e il

movente).

La filosofia di B. ebbe rapida e notevole diffusione, soprattutto negli anni tra le due guerre mondiali,

in contrasto con l’intellettualismo scientistico e come riaffermazione del valore teoretico dell’intuizione

al di sopra dell’intelletto. Ancor prima che in campo filosofico, profonda è stata la suggestione nell’ambito

della letteratura e delle arti, da M. Proust a P. Valéry, al simbolismo, all’ermetismo e all’impressionismo

pittorico. La filosofia di B., che porta alla più avanzata espressione il neospiritualismo di Ravaisson

e la filosofia della contingenza di Boutroux, ebbe ripercussioni nel campo dell’estetica (futurismo),

della filosofia epistemologica e religiosa (Leroy e James) e politica (Sorel). Lo sforzo di superare il

positivismo, sfociò, in partic., in una sorta di misticismo e di rinnovamento romantico. Importante è

stato anche il confronto di B. con Einstein sul concetto di tempo (in Durée et simultanéité, à propos de

la théorie d’Einstein, 1922; trad. it. Durata e simultaneità), che coinvolse anche Whitehead, Poincaré e

Mead, con ripercussioni sull’epistemologia contemporanea.



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