mercoledì 11 gennaio 2023

Corso filosofi: Lezione 15 Bachelard Malinowski Lukács Heidegger

Gaston Bachelard 1884 

filosofo

Gaston Bachelard (1884 – 1962) è stato un filosofo della scienza e della poesia francese.Epistemologo illustre, è autore di numerose riflessioni legate alla conoscenza e alla ricerca.Gaston Bachelard ha avuto una carriera fuori dal comune. All'inizio impiegato alle poste, prende la laurea e diventa professore di fisica e chimica a Bar-sur-Aube. Riesce nel 1922 a laurearsi anche in filosofia e insegna questa materia alla Facoltà di Dijon prima di diventare professore alla Sorbona fino al 1954. Nella sua opera fondamentale: Il nuovo spirito scientifico (1934), Gaston Bachelard compie un superamento del dibattito tra empirismo e razionalismo, così come Karl Popper, autore a cui viene spesso contrapposto. Per Bachelard, il materialismo razionale si trova al centro di uno spettro epistemologico le cui due estremità sono costituite dall'idealismo e dal materialismo.  Bachelard si impegna per una critica severa dell’induttivismo e dell'empirismo. Il fatto scientifico si trova sempre costruito alla luce di una problematica teorica. La scienza si sviluppa in opposizione all'evidenza, contro le illusioni della conoscenza immediata. È in questo senso che Bachelard parla di una «filosofia del non». L'accesso alla conoscenza come la storia delle scienze è dunque segnata da un «taglio epistemologico» che opera una separazione con il pensiero prescientifico. Produrre conoscenze nuove significa dunque superare "ostacoli epistemologici", secondo l'espressione di Bachelard che parla anche di rottura epistemologica.Per Bachelard, ogni conoscenza è una conoscenza avvicinata: «Scientificamente, si pensa il vero come correzione storica di un lungo errore, si pensa l'esperienza come correzione della comune e prima illusione».Bachelard si impegna per un'epistemologia concordataria. Ritiene sia indispensabile superare l'opposizione tra empirismo e razionalismo: «Né razionalità vuota, né materialismo sconnesso». «L'attività scientifica richiede la messa in opera di un razionalismo applicato» o di «un materialismo razionale».Avendo le sue idee numerose affinità con quelle di Ferdinand Gonseth, contribuì con lui alla creazione e alla vita della rivista Dialectica.Nella seconda parte della sua impresa filosofica, Bachelard si consacra a uno studio approfondito dell'immaginario poetico. In un testo divenuto celebre, Le dormeur éveillé, dichiara: "La nostra appartenenza al mondo delle immagini è più forte, più costitutiva del nostro essere che non l'appartenenza al mondo delle idee". Incoraggia allora le dolcezze del fantasticare (della "rêverie") e si lascia andare alle evocazioni ispirate dalla "fiamma di una candela".

Bronislaw Malinowski 1884







Bronislaw Malinowski (1884 – 1942) è stato un antropologo polacco, naturalizzato britannico e considerato universalmente come uno dei più importanti studiosi del XX secolo. È celebre per la sua attività pionieristica nel campo della ricerca etnografica, per gli studi sulla reciprocità e per le acute analisi sugli usi e costumi delle popolazioni della Melanesia. Conseguì il dottorato all'Università Jagellonica nel 1908. Successivamente frequentò l'Università di Lipsia, dove subì l'influenza di Wilhelm Wundt e delle sue teorie sulla psicologia popolare: interessi che lo spinsero ad occuparsi di antropologia. Nel 1910 si trasferì a Londra, per studiare alla London School of Economics and Political Science. Nel 1914, in occasione del suo primo viaggio in Papua Nuova Guinea svolse lavori di ricerca etnografica a Maliu. Rimasto bloccato lì per lo scoppio della Prima guerra mondiale, ne approfittò per recarsi nelle isole Trobriand, dove realizzò il suo più celebre studio, quello sul Kula. Esso è una forma di scambio cerimoniale che consiste in periodiche spedizioni su canoe che ogni gruppo organizza per andare a fare visita alle comunità delle altre isole, con cui vengono scambiati doni. Lo scambio simbolico si basava su due tipi di doni: collane di conchiglie rosse, dette soulava, venivano scambiate con braccialetti di conchiglie bianche, dette mwali. A questo si aggiungeva un baratto informale detto gimwali con cui venivano scambiati oggetti d'uso di ogni tipologia. Egli giunse alla conclusione che il kula serviva come meccanismo di attivazione di determinate forme di solidarietà sociale: grazie al kula si contribuiva a fare legare le persone attraverso una serie di obblighi e sulla base di un principio di collaborazione.
Nel 1922 Malinowski, conseguito il dottorato in antropologia, iniziò l'attività di insegnante nella stessa London School of Economics. Pubblicò, nello stesso anno, Argonauti del pacifico occidentale, il cui successo fu tale da portare la fama dell'etnologo a livelli mondiali. Nei tre decenni successivi, grazie al suo contributo attivo, la London School of Economics diventò uno dei maggiori centri europei per gli studi antropologici, intensificando i rapporti con studenti provenienti dalle colonie britanniche.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti, insegnando all'Università di Yale fino al momento della sua morte, avvenuta nel 1942.
Malinowski è considerato il padre della moderna etnografia, di cui ha rivoluzionato la metodologia e l'approccio pratico. È stato, insieme ad Alfred Radcliffe-Brown, il maggiore esponente del funzionalismo britannico. Questa scuola di pensiero è caratterizzata da una particolare attenzione all'analisi dei fattori che contribuiscono al mantenimento dell'equilibrio interno di una società, che appunto la teoria funzionalista concepisce come un organismo al cui funzionamento contribuiscono le sue varie parti. Questa visione del sistema sociale come una sorta di organismo vivente prevale soprattutto in Radcliffe-Brown (che la riprese dalle tesi di Emile Durkheim, il padre del funzionalismo in sociologia), il cui approccio è appunto definito antropologia sociale proprio per l'importanza centrale attribuita alla società. Diverso è l'approccio di Malinowski, il quale pur mantenendo una visione funzionalista pone al centro dei suoi studi l'individuo e non la società. Malinowski teorizza la sua nozione di cultura nel saggio postumo Una teoria scientifica della cultura (1944), anche se le conclusioni erano già presenti in nuce nella sua ricerca sul campo nelle Trobriand. Egli riprende l'interpretazione tyloriana della cultura come insieme complesso, ma ne accentua l'aspetto organicistico trasformandola in un “tutto integrato” in cui ogni singola parte contribuisce al funzionamento dell'insieme. Malinowski ritiene che ogni cultura sia costituita dall'insieme di risposte che la società dà ai bisogni universali degli esseri umani. Tali bisogni sono di due tipi: alla base vi sono i bisogni umani universali (basic needs), come il mangiare, il dormire, il riprodursi e a cui ogni cultura fornisce proprie peculiari risposte; la soddisfazione dei bisogni primari crea quindi bisogni secondari o derivati come l'organizzazione politica ed economica che nascono dalla necessità di ogni società di mantenere la propria coesione interna. C'è infine un terzo tipo di bisogni, bisogni di carattere culturale, come le credenze, le tradizioni, il linguaggio. A tutti questi livelli di necessità umane, ogni cultura dà risposte coerenti alla propria natura. Su queste premesse, come ha notato James Clifford, Malinowski ha potuto basarsi sull'analisi di un singolo aspetto della cultura di un popolo per capire l'insieme complesso di cui questo aspetto è parte. L'approccio di Malinowski rende quindi possibile giungere al tutto attraverso una o più delle sue parti. La figura retorica della sineddoche è perfettamente in grado di spiegare questo approccio: la parte è concepita infatti come una “versione in scala” o come una “cifra analogica” del tutto.

György Lukács 1885
https://youtu.be/AjoxcPrsaAI?si=_Bnhury9LvAMs-ra

György Lukács filosofo ungherese (Budapest 1885 - ivi 1971). Laureatosi a Budapest nel 1906, nel 1909 si trasferì in Germania (a Berlino e a Heidelberg), dove restò per vari anni, allo scopo di approfondire gli studi di filosofia. Fu un periodo decisivo per la formazione culturale di L., il cui pensiero risentì fortemente dell’influsso di Simmel, Weber, Rickert, Lask e della Hegel-Renaissance iniziata da Dilthey. Il rapporto con Hegel e con lo storicismo tedesco costituì il nucleo teorico delle sue prime opere: Die Seele und die Formen (1911; trad. it. L’anima e le forme) e Die Theorie des Romans (1915; trad. it. Teoria del romanzo). Gli stessi motivi teorici sono soprattutto presenti nell’importante e celebre opera del 1923, Geschichte und Klassenbewusstsein (trad. it. Storia e coscienza di classe), che rappresenta il momento più significativo dell’incontro di L. con l’opera di Marx e con il marxismo. In questo libro, che ha esercitato un influsso non trascurabile su alcuni filoni della cultura europea, L. univa strettamente fra loro la teoria marxiana della reificazione e del feticismo, la critica hegeliana dell’intelletto e del materialismo, e la critica (sviluppata ampiamente dallo storicismo tedesco) dei procedimenti metodologici, ‘analitici’ e ‘quantitativi’», delle scienze della natura. Nel suo libro L. rivendicava un metodo incardinato sulla categoria della «totalità concreta», all’interno della quale soltanto possono essere colte le contraddizioni e le connessioni profonde tra i singoli fenomeni. Per alcune delle tesi in esso contenute (per es., la critica della «dialettica della natura» di Engels) fu duramente criticato dalla Terza Internazionale. L., ormai legato al movimento comunista (nel 1919 aveva partecipato alla repubblica sovietica ungherese di B. Kun, come commissario del popolo all’istruzione), sconfessò il suo libro. Ha inizio così la seconda fase della sua attività, ispirata al materialismo dialettico e volta a elaborare un’estetica marxista. In Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft (1948; trad. it. Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica) L. ha sostenuto la sostanziale continuità di metodo fra Hegel e Marx-Engels (da lui ormai rigidamente identificati); in Die Zerstörung der Vernunft (1954; trad. it. La distruzione della ragione) ha ricostruito il pensiero tedesco dell’età imperialistica, mettendo in rilievo una linea di sviluppo irrazionalistico che andrebbe da Schelling a Hitler. Come teorico dell’arte e della letteratura, L. ha elaborato una teoria estetica fondata sulla concezione leniniana del «rispecchiamento» e sulla categoria del «particolare»; la forma più alta di arte è per L. il realismo, che consiste nella rappresentazione di personaggi ‘tipici’ in circostanze ‘tipiche’. L. ha presentato le sue teorie estetiche e letterarie nelle seguenti opere: Essays über den Realismus (1948; trad. it. Saggi sul realismo); K. Marx und F. Engels als Literaturhistoriker (1948; trad. it. Il marxsismo e la critica letteraria); Th. Mann (1949; trad. it. Thomas Mann); Der russische Realismus in der Weltliteratur (1949); Deutsche Realisten des XIX Jahrhunderts (1951; trad. it. Realisti tedeschi del 19° secolo); Balzac und der französische Realismus (1952; trad. it. Saggi sul realismo); Skizze einer Geschichte der neueren deutschen Literatur (1953; trad. it. Breve storia della letteratura tedesca); Beiträge zur Geschichte der Aesthetik (1954; trad. it. Contributi alla storia dell‘estetica); Der historische Roman (1955; trad. it. Il romanzo storico); Die Eigenart des Aesthetischen (2 voll., 1964; trad. it. Estetica). Nel 1956 L. prese parte attiva al disgelo politico e culturale e partecipò al secondo governo Nagy in qualità di ministro della Pubblica istruzione. Dopo la repressione russa, fu deportato in Romania; rientrato a Budapest nel 1957, si ritirò da ogni attività pubblica e si dedicò interamente al suo lavoro scientifico.

Martin Heidegger 1889

https://youtu.be/Q6j6E4kQ9kg

HeideggerMartin. - Filosofo tedesco (Messkirch, Baden, 1889 - ivi 1976). Compì gli studi universitari a Friburgo in Brisgovia, dove conseguì la laurea in filosofia nel 1913 con una tesi su Die Lehre vom Urteil in Psychologismus, pubblicata nel 1914, e la libera docenza con H. Rickert nel 1916 con lo scritto su Die Kategorien- und Bedeutungslehre des Duns Scotus, pubblicato nello stesso anno. Esercitò la libera docenza all'univ. di Friburgo dal 1915 al 1923 e fu assistente di Husserl, che era succeduto a Rickert nel 1916. Nel 1923 fu chiamato come professore straordinario all'univ. di Marburgo. Nel 1927 pubblicò Sein und Zeit, sicuramente la sua opera più importante. Nel 1928 tornò all'università di Friburgo quale successore di E. Husserl e come professore ordinario, e nel 1929 pubblicò la prolusione Was ist Metaphysik?; nello stesso anno comparvero Kant und das Problem der Metaphysik e lo scritto Vom Wesen des Grundes. Nel 1933 fu eletto rettore dell'università di Friburgo, e aderì al nazionalsocialismo pronunciando la prolusione dal titolo Die Selbstbehauptung der deutschen Universität. Ma già nell'anno seguente si dimise da rettore e si distaccò completamente dalla vita politica dedicandosi esclusivamente all'insegnamento. Di questo periodo è la conferenza romana del 1936 su Hölderlin und das Wesen der Dichtung, pubblicata nel 1937, a cui seguirono nel 1942 il saggio su Platons Lehre von der Wahrheit, nel 1943 Vom Wesen der Wahrheit e infine, nel 1944Erläuterungen zu Hölderlins Dichtung. Dal 1945 al 1951 gli fu vietato l'insegnamento dalle potenze occupanti e di questo periodo è l'importante Brief über den Humanismus (1946), dove prende le distanze dalle interpretazioni esistenzialistiche del suo pensiero e annuncia la "svolta" del pensiero in direzione del linguaggio come "dimora dell'essere"; molto importante pure la raccolta di saggi Holzwege (1950), in particolare per la concezione dell'arte come intrinseco accadere della verità e, quindi, per una concezione della verità diversa tanto dai modelli formali e scientificizzanti quanto dalle concezioni proprie delle forme correnti di storicismo. Nel 1951 H. poté riprendere l'attività di docente (dal 1952 come professore emerito) tenendo corsi e seminarî all'univ. di Friburgo e pubblicò una nutrita serie di scritti: nel 1953, l'Einführung in die Metaphysik, che riproduce il testo di lezioni tenute nel 1935; nel 1954Vorträge und Aufsätze e Was heisst Denken?; nel 1956Zur Seinsfrage; nel 1957Der Satz vom Grund e Identität und Differenz; nel 1959Unterwegs zur Sprache, l'opera forse più importante per le interpretazioni ermeneutiche della filosofia heideggeriana; nel 1961Nietzsche, due importanti volumi che riprendono corsi universitari degli anni Trenta e Quaranta e che hanno avuto un ruolo determinante soprattutto in Francia e in Italia per la ripresa del problema del nichilismo in rapporto agli sviluppi della metafisica e della tecnica come "destino" dell'Occidente; nel 1962Die Frage nach dem Ding e nel 1963Kants These über das Sein; nel 1970Phänomenologie und Theologie e nel 1971Schellings Abhandlung vom Wesen der Freiheit, dove sono riprese le lezioni del 1936 sullo stesso tema. Dal 1975 è in corso l'edizione completa delle opere di Heidegger. La straordinaria risonanza avuta da Sein und Zeit può apparire a prima vista sorprendente soprattutto se si pensa a quello che è propriamente il suo tema: riprendere quel problema della molteplicità dei sensi dell'essere che era già stato avvertito e impostato da Aristotele e dal pensiero greco, e che poi era stato sempre più relegato, in quanto "metafisica", nell'oblio o nell'insignificanza. Tuttavia la peculiarità di quest'opera e il fatto che, anche contro le intenzioni del suo autore, sia stata intesa come un manifesto della filosofia dell'esistenza si spiegano in quanto la ripresa del problema dell'essere passa necessariamente attraverso lo studio di quell'ente che è l'uomo o, come H. preferisce dire, l'"esserci" (Dasein). L'"esserci" infatti non è un ente che si trova soltanto in mezzo agli altri come una cosa, ma è sempre caratterizzato da un rapporto di "comprensione" preliminare dell'essere degli enti con i quali si trova in rapporto e del proprio essere; così pure l'"esserci" è un ente che, a differenza degli altri, ha come propria dimensione la capacità di interrogarsi sull'essere, di tematizzare esplicitamente il problema del senso dell'essere. L'ontologia quindi deve necessariamente prendere le mosse dall'"analitica esistenziale", ossia dallo studio dei modi in cui l'"esserci" si rapporta all'essere, "esiste" (questo è il senso specifico che H. attribuisce alla parola "esistenza" per indicare l'essenza dell'"esserci", a differenza dell'uso tradizionale che vedeva nell'esistenza la semplice realizzazione, attualità di essenze a essa presupposte); infatti non solo non è possibile attingere altrimenti o in forma diretta l'essere, ma ogni comprensione dell'essere è già sempre collegata al modo in cui l'"esserci" è costitutivamente disposto verso il mondo e verso gli altri. Perciò a differenza della tradizione, dove spesso la metafisica è intesa come sforzo di trascendere la finitezza, per H. metafisica e finitezza sono inscindibili, poiché l'interrogazione sull'essere avviene sempre necessariamente all'interno di un "esserci" che è un "progetto gettato", ossia di un ente che si trova sempre nel mondo come rinviato a degli altri enti e perciò stesso è finito. L'importante però è cogliere il senso della traiettoria che l'interrogazione sull'essere descrive all'interno della finitezza, poiché l'"esserci" si trova inizialmente "gettato" nel mondo in condizioni di "deiezione", ossia in un rapporto di dispersione e di impersonalità, quel rapporto che è ben espresso dall'uso corrente di nozioni come "si dice", "si fa", ecc. Dallo stato di deiezione in cui l'essere è celato a sé stesso, l'"esserci" viene fuori attraverso l'angoscia che non è il timore di questa o quella cosa determinata, bensì il senso della nullità totale e fondamentale dell'essere del mondo; è l'angoscia dunque che dischiude all'"esserci" il vero senso del suo rapportarsi agli enti prendendone "cura" e, viceversa, la cura non è un rapporto agli enti puramente teoretico o puramente pratico, bensì qualcosa di più originario e fondamentale, quale anticipazione del possibile esito di tale rapporto, un esser-già-sempre-avanti-a-sé dell'"esserci" nel suo considerarsi come possibilità. Ciò che consente però all'"esserci" di superare la dispersione di tali rapporti e in tali rapporti è l'anticipazione della morte quale unica possibilità autentica e totalizzante delle diverse possibilità dell'"esserci", che ne manifesta l'interna storicità e temporalità. L'uomo infatti "esiste" storicamente e temporalmente non perché vive "nel" tempo o in una storia che lo condiziona dall'esterno, ma perché propriamente l'essenza dell'"esserci", la sua "ex-sistenza", è un "temporalizzare", un di spiegarsi nelle dimensioni temporali, il passato, il presente, il futuro nell'orizzonte delle quali si colloca e spiega la comprensione dell'essere. Attraverso l'analitica esistenziale si giunge così non solo a comprendere come decisivo per l'ontologia il rapporto tra essere e tempo, ma anche a gettare nuova luce sull'intera storia della metafisica e a scoprirne i limiti; le concezioni inadeguate dell'essere o, addirittura, l'occultamento del problema dell'essere si rivelano infatti risultato non di errori più o meno casuali, ma del privilegiamento di una dimensione del tempo, e cioè del presente, per cui l'essere degli enti è stato ridotto alla loro presenza e disponibilità. L'inizio di questo processo - su cui H. torna ripetutamente nelle opere successive a Sein und Zeit - si ha in Grecia e con Platone, quando la verità, anziché come disvelamento dell'essere, viene intesa come idea, come presenza visibile all'intelletto, quindi come esattezza. Come espressione adeguata della verità viene quindi considerata la proposizione o, meglio, quelle forme di proposizione e di giudizio che siano conformi alle regole della logica, mentre soltanto nell'arte e nel linguaggio permane ancora traccia e sentore del significato originario della verità, occultato dalla metafisica. A sua volta la metafisica non va intesa come una semplice dottrina o una semplice parte della filosofia, bensì come qualcosa che ha permeato e permea in modo decisivo l'intera civiltà occidentale, determinandone il destino, e sta ora estendendo il suo dominio sull'intero pianeta, poiché se è scomparsa o ha perso credito come dottrina, in effetti si è realizzata attraverso la scienza e la tecnica come calcolo e volontà di potenza. Di qui l'importanza del confronto con Nietzsche che, secondo H., sta in un certo senso al culmine dello sviluppo della metafisica, poiché ne ha individuato con lucidità il carattere di volontà di potenza; anche Nietzsche però rientra nella storia della metafisica poiché non è stato abbastanza radicale nella sua critica della metafisica, in quanto ha ancora pensato in termini di "valori", auspicando con il "superuomo" la sostituzione dei valori ormai consunti e rivelatisi ingannevoli con altri nuovi e più autentici. Occorre invece andare a fondo nella critica della metafisica, mettendo in luce quanto di metafisico vi è anche nella nozione di uomo quale si è tradizionalmente affermata: per questo H., nella celebre polemica contro Sartre nel Brief über den Humanismus prende decisamente posizione contro qualsiasi forma di umanismo considerandolo solidale alla metafisica e all'oblio della differenza ontologica, ossia della differenza tra l'essere e gli enti da cui la metafisica è scaturita ed è condizionata. Questo tema è essenziale per comprendere l'interpretazione heideggeriana del nichilismo che non può essere considerato come qualcosa di semplicemente storico-culturale, come una forma di decadenza a cui si può reagire con questa o quella terapia culturale (come in un certo senso anche Nietzsche auspicava). Perfino il nichilismo come decadenza, il nichilismo per così dire "inautentico", si spiega soltanto in base al nichilismo "autentico", ossia alla funzione del nulla che condiziona la finitezza degli enti e la loro differenza dall'essere e che nella storia della metafisica è stato in parte celato e occultato. In un quadro così sconfortante della situazione contemporanea, una situazione di "indigenza" nella quale gli dèi del passato sono scomparsi, ma ancora non si intravede l'avvento di nuovi, il rapporto alla verità rimane sostanzialmente affidato all'"ascolto" dell'essere che ha la dimora nel linguaggio, all'interpretazione della parola dei poeti, secondo quella "svolta" del pensiero di cui H. ha parlato nel Brief über den Humanismus. Si afferma così un concetto di verità diverso da quello della logica e delle scienze e di cui si può considerare come testimonianza quell'"accadere" dell'opera d'arte che è un accadere intrinsecamente storico, proprio come il linguaggio è propriamente un'apertura di senso che è sempre "per via", essendo la verità un continuo sottrarsi e disvelarsi nell'orizzonte della finitezza. Per questi ultimi sviluppi il pensiero heideggeriano è stato accostato da un lato anche a correnti recenti del pensiero anglosassone come l'ultimo Wittgenstein e, più in generale, l'analisi del linguaggio comune, e, per altro verso, ha alimentato e promosso un rinnovato interesse per l'ermeneutica; proprio perché il linguaggio è l'autentica dimora dell'essere, l'interpretazione non è più un metodo peculiare di questa o quella scienza o disciplina, ma è il processo fondamentale del pensiero e si pone perciò al centro non solo della teologia e dell'estetica, della coscienza storica e della linguistica, ma dell'intera filosofia.


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